Teatro

Testi in Attesa. Di traduzione.

Testi in Attesa. Di traduzione.

Qualche giorno fa sono entrato nel Banco di Napoli in via Toledo, sapendo che ad una certa ora si sarebbe svolta una delle performance dell’Attesa, ma senza aver prima letto il racconto di quella scena; non sapendo a cosa avrei dovuto assistere, quindi, per oltre mezz'ora ho osservato in giro, con occhio sospetto, tutte le cose un po' strane che capitavano.
Il fatto è che già normalmente ne capitano molte, lo sappiamo bene, e così non riuscivo a capire quale fosse la storia vera (anzi no, la finta?) dell'Attesa, convincendomi di volta in volta che poteva essere la signora che protestava o l'impiegato che trattava stranamente i clienti: un occhio nascosto che deve vedere qualcosa, non sapendo nemmeno cosa.
È stato uno dei momenti in cui mi è sembrato maggiormente di percepire la riuscita di una operazione sulla quale abbiamo scritto molto, e su cui è interessante soffermarsi ancora per conoscere anche il punto di vista di coloro che hanno fatto da trait d'union fra i testi e la resa scenica finale, ovvero i registi, che hanno letteralmente tradotto il testo: dalla sua origine, al suo scopo. Ne raccogliamo alcune impressioni, lasciando loro uno spazio aperto sul tema del rapporto col testo e delle difficoltà incontrate rispetto all'intero progetto:

Anna Gesualdi (Teatringestazione - Regista di Petru di Maria Pace Ottieri, l'Attesa di Vincenzo Consolo, Assenti di Ivan Cotroneo - II versione):

“Il progetto, i testi scelti, la ricerca sugli autori, i temi, l'analisi dell'azione, i compiti, un diario di bordo: questi sono gli elementi con cui abbiamo costruito la nostra messa in atto. Ogni testo, poi, sviluppa la sua strada, il nostro è un lavoro di traduzione fisica; in ogni testo fiutiamo la "relazione" e la trasportiamo nel luogo che gli attori abitano: una via, una piazza o il palcoscenico, per noi non fa differenza. Nel testo scritto cerchiamo il luogo dell'azione e lo abitiamo, così le parole dalla carta si traducono sul corpo dell'attore.
In particolar modo per il progetto l'Attesa abbiamo sviluppato un lavoro sulla "post drammaturgia automatica" ovvero il testo non scritto sulla pagina, ma sviluppato nel tempo dagli spettatori inconsapevoli, una drammaturgia post spettacolo di cui a nostra volta siamo poi spettatori.
Dall'analisi dell'azione sul testo ricaviamo le domande su cui poi elaboriamo dei compiti assegnati agli attori. Ad esempio, per il testo della Ottieri, Petru, abbiamo lavorato sul flusso ininterrotto del racconto, l’uso della ripetizione, lo sguardo continuo su ciò che accade intorno, i rumori della città che gira vorticosa attorno al corpo fermo della protagonista, Mirela, moglie di Petru.”

Giorgia Palombi (Maniphesta teatro – Regista di Gloria della Notte di Dacia Maraini e Assenti di Ivan Cotroneo):

"Con il testo di Cotroneo è stato un colpo di fulmine: parla di Eleonora Fonseca Piementel, una figura vate per la modernità del suo operato, per il coraggio, per l’esempio. Questo testo le rende giustizia proprio perché la schioda dalla sua icona e la restituisce al mondo in perfetta coerenza con la sua libertà interiore: “Come fate voi a preoccuparvi ancora di voi stesso? E' una delle cose che avremmo dovuto lasciare dall’altra parte. Uno dei pochi vantaggi, alla fine: di pensare a noi stessi. Il sollievo…”. Il fantasma di una donna rivoluzionaria innamorata di un ragazzo di oggi, delinquente o comunque di estrazione molto popolare, giovanissimo, che non sa parlare. Scelgo un’azione come quella di disegnare il volto dell’amato o leggere parole che lui, il vivo, non può sentire, l’affido all’attrice che impersona Eleonora, Alessandra di Castri, e lascio intatte anche le parole di Benedetto Croce per Ivan Marcantoni, anche lui fantasma, anche lui innamorato, di Eleonora, ma indignato dall’abbandono sentimentale della sua eroina. A prima vista la gente la prende per una scena di gelosia fra ex coniugi, mentre è l’attaccamento maschile alla propria immagine lasciata nella storia, ed il rinnovamento tutto femminile del credo politico attraverso l’esperienza diretta di un coinvolgimento sentimentale. Eleonora è palpitante anche se assente, Benedetto è tenero e disarmato, nel suo inutile tentativo di ragionare, nella sua incapacità di reggere il confronto con il ragazzo.

Quanto a Gloria della Notte, invece, è stato il terzo lavoro su un testo di Dacia Maraini dopo Donna Leonora Giacubina e Maria Stuarda, in scena con le detenute di Pozzuoli. Questa volta c’era una storia della durata di pochi istanti, interpretata da una trans. Così le pagine di Dacia sono state adattate al tempo e al luogo che ci toccava in mezzo al caos della città: la Metropolitana Collinare, stazione Dante e Museo. Il testo è un monologo che svela la vita piena di solitudine e di difficoltà della trans Gloria, ma sul binario di un treno cittadino è stato possibile costruire anche un’azione d’impatto visivo, e così abbiamo scelto una versione che lascia intuire la storia ma non costringe gli interpreti ad alzare la voce e a tradire così il primo vincolo di questo progetto: quello di non fare spettacolo, bensì di coinvolgere gli spettatori casuali in un’azione al limite tra realtà e finzione… e devo dire che le persone sono “agganciate” da Gloria (Lia Pastore) in modo intenso ma composto sul binario, e poi continuano a seguire nel vagone della Metro dove l’azione continua condotta da Susanna Poole e Francesco Testa. Il bello comincia dopo che anche gli attori sono scesi dal treno: è allora che si scatenano i commenti di chi fino a quel momento ha assistito…"

Sara Sole Notarbartolo (Taverna Est – Regista di ln una banca di Andrea De Carlo e L'innocenza dei postini di Paolo Di Paolo):

“Nel mio caso è stato molto naturale, la mia drammaturgia nasce sempre da un lavoro stretto con l'attore e con lo spazio. L'unica variazione (certo abbastanza sostanziale) è stata nel testo di partenza che appunto non era mio, ma di un autore che non poteva partecipare alla trasformazione.
Ho fatto una prima attualizzazione del testo, laddove ad esempio Andrea de Carlo parlava di due donne che si confessano l'una con l'altra una grande trasformazione ed il ritrovato coraggio per affrontare la vita, il sesso e l'avventura. A me è sembrato che una storia del genere, fatta mettere in scena da due uomini, sarebbe stata molto più interessante: così i miei due attori di "In una banca" hanno iniziato a lavorare, partendo dal testo di de Carlo, su tutti i topoi tipici femminili: il fascino del potere, la ricchezza materiale dell'oggetto amato, l'attesa della telefonata, il messaggino, lo squillo, tutti discorsi "da femmine".
Nella messa nello spazio abbiamo aggiunto un piano visivo forte, cioè, dato che è un discorso discreto in cui alla fine uno confessa all'altro di avere avuto un chiarimento sulla propria sessualità e si dichiara omosessuale (usando il termine napoletano "ricchione") non può essere sentito che da una o due persone alla volta. Alla fine abbiamo concluso con questo bacio strappato da Giovanni, il nostro signore giacca e cravatta, al giovane Claudio che lo abbandona assai infastidito. Questa cosa è vista da diverse persone e per chi non sente è come un "riassunto visivo" di quello che è successo.
Per quanto riguarda "L'innocenza dei postini", il testo si prestava tantissimo alla messa in scena e anche l'ambientazione era perfetta per lo spirito de "L'attesa", quindi ho realizzato solo due variazioni: il mio postino è più pazzo di quello di Di Paolo ed alla fine fa persino una serenata alla direttrice della posta fra le persone in fila... e la collega della direttrice, che l'autore aveva messo dietro gli sportelli, è diventata l'amico del postino, Gianluca, che sta per spedire una chitarra, la qual cosa ci permette di creare un legame fra lui e le persone in attesa e lui ed il postino, aiutando il tutto ad essere molto reale ed a creare relazione e dialogo con il pubblico.
Per entrambi i lavori ,dopo una fase di elaborazione testo e messa nello spazio fatta all'interno, abbiamo provato per strada, alla Feltrinelli, al porto di Pozzuoli, a piazza Bellini, al parco Virgiliano, dove gli attori hanno iniziato a lavorare fra la gente per affinare la "non recitazione", necessaria in tutti i nostri lavori, ma in modo assai più particolare, proprio in questo."